Ma l'onorevole mio amico, ed ora compagno di sventura, barone Carlo Poerio, allora ministro della pubblica istruzione, credette che io potessi essere utile come capo di ripartimento in quel ministero, mi fece forza ad accettar questo uffizio, e mi propose al re, che benignamente approvò la proposta il 22 marzo 1848. Stetti in uffizio modestamente, non feci male a nessuno, feci tutto il bene che potei, non permisi si violasse la giustizia per favori di partito; e chi può rimproverarmi del contrario si levi e mi accusi. L'uffizio nuovo e grave per me vissuto sempre lontano dalle faccende, il continuo mutar dei ministri che pel breve tempo e le gravi quistioni politiche non potevano fare alcun bene, le ambizioni e la petulanza di molti mi turbarono l'animo, e mi fecero desiderare la pace della vita privata, e quei cari giovani che io ammaestrava, che io tanto amava, e che tanto mi amavano. E però il giorno 13 maggio, che fu sabato, scrissi la mia rinunzia e voleva farla stampare; ma non potetti la domenica, né il sanguinoso lunedì. Il 21 maggio scrissi quest'altra, che è breve, e la mandai al ministro Bozzelli: "Per non rubar tempo a lei, che è ministro, e per non perderne io, non vengo a parlarle: le scrivo ed è tutt'uno. Fin da sabato 13 maggio io aveva deliberato di rinunziare al mio uffizio di capo di ripartimento nel ministero d'istruzione pubblica, ne aveva scritto le ragioni, e voleva stamparle. Ora alle vecchie ragioni si aggiungono le nuove; per le quali tutte io non posso, non voglio, non devo rimanere più in uffizio: sarei inutile alla mia patria, di vergogna a me stesso.
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Carlo Poerio Bozzelli
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