Non disprezzo un benefizio reale: ma io sono avvezzo a lavorare, ed esserne compensato: un dono mi umilia, e mi fa vile a me stesso. Se V. E. vuole che io abbia un soldo, e che io lo accetti, mi faccia lavorare come e dove le pare: ed io le posso promettere di servire esattamente ed onoratamente. La prego di far noti a sua maestà questi miei sentimenti, e di fargli leggere la dichiarazione che io scrissi quando rinunziai al mio ufficio; affinché il re vegga quale uomo io mi sono, non quel tristo che la malvagità degli uomini ha voluto dipingere con neri colori.
Non so che fece il Bozzelli dopo questa lettera: la mia rinunzia non fu ancora accettata.
Allora mi chiamò il ministro delle finanze signor Francesco Paolo Ruggiero, e mi offerì un uffizio nel suo ministero con soldo maggiore di quello che aveva. Gli risposi che io non poteva accettarlo, perché non sapeva affatto di finanza, e in tutta la vita mia non aveva studiato che letteratura. "Per un uomo d'ingegno," mi rispose l'eccellentissimo, "questa non è cosa difficile: anch'io non ne sapeva niente, ed in quindici giorni l'ho imparato e ne sono maestro." "Ma io non posso paragonarmi con voi": gli replicai, lo salutai, e me ne andai.
Nel mese di novembre 1848 si dovevano eleggere alcuni deputati; e molti mi domandavano se io voleva essere eletto. Bella e desiderata cosa è per un cittadino rappresentare la sua nazione: ma io non aveva l'ingegno e la parola pronta, non ancora era stata accettata, la mia rinunzia, non poteva essere deputato.
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Bozzelli Francesco Paolo Ruggiero
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