Infine divenimmo quasi amici: e pochi giorni appresso egli disse ad un mio amico che a me lo ripeteva:
Io non so perché si debba temer tanto del Settembrini ed odiarlo, mentre egli è un onesto uomo". Se tutti quelli che mi odiano volessero vedermi e parlarmi, forse mi diverrebbero amici. Fui condotto nelle prigioni di Santa Maria Apparente, e non fui più interrogato: intanto il processo seguitava.
Il 30 giugno il commessario chiamò l'Iervolino e gli dimandò: "Se tu sei stato più volte in casa Settembrini, chi vi hai trovato?" E quegli, che aveva detto di non conoscere il nome di alcuno dei miei amici, subito nominò il Mignogna che era stato arrestato con me. E poi disse che egli veniva in casa mia quando la polizia mi arrestava, onde corse a darne avviso al Poerio, il quale lo mandò subito ad avvisarne l'architetto Francesco Giordano: ei va, non lo trova nel caffè dove soleva trattenersi, e per dargli l'avviso del mio arresto non trova altro espediente che scrivere il suo nome su di un pezzo di carta, e darlo al caffettiere incaricandolo di farlo capitare al Giordano: ripete che mi conobbe per mezzo del Poerio; dice che non ha mai veduto in casa mia il Rondinella, che non lo conosce nemmeno di vista, ma che arguisce la nostra intimità perché m'ha veduto spesso nella libreria. Dall'intimità che un uomo di lettere ha con un libraio si arguisce che costui abbia stampato un proclama. Logica di polizia!
Interrogato il Mignogna dice: non conoscere l'Iervolino, non averlo mai veduto in casa mia: messi a confronto entrambi, ognuno sostiene il suo detto.
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