Ecco la sostanza del mio processo, dal quale non risulta altra pruova contro di me, se non un'assertiva che può essere smentita da un'altra assertiva; un'assertiva di un malvagio la quale è solennemente mostrata falsa da tutta la vita di un uomo onesto; un'assertiva di una spia salariata a cui la legge stessa comanda che non si presti fede [6]. E nessuno gli prestava fede, e la polizia stessa vedeva e sapeva la nullità del processo: onde non faceva istruzione su i libelli, non incarcerava alcuno dei nominati in essi, neppure quel Federico d'Ambrosio, che l'Iervolino accusa di averlo ascritto nella setta; il quale di poi e ben tardi fu arrestato, ma per esperimento, e per altra cagione, e presto liberato. Io potrei dire: "Infine Iervolino che pruove dà che io gli ho consegnato un proclama? nessuna. E perché si dee credere a lui e non a me che sono un onesto uomo?" Ma questo dire potrebbe lasciare un dubbio nell'animo di chi vuol sapere netto il vero; se la non curanza di un solerte commessario, le denunzie stesse copiate dall'Iervolino, l'essere egli considerato come testimone, mentre apparisce complice, e il non esser mai venuto a me innanzi, non mostrassero chiaramente che quel tristo è stato strumento dell'odio altrui, e mi ha sfacciatamente calunniato.
Il processo cadde nell'acqua: tutti mi dicevano, ed io lo sentiva, che m'avevan posto in carcere per un cieco sdegno di cui si sa la cagione. Ed io mi rassegnai a soffrire le pene del carcere, vedeva solamente mia moglie ed i diletti figliuoli che venivano a visitarmi; aspettava la mia sorte tranquillamente; udiva con indifferenza le voci di amnistia sparse ad arte dai tristi per tormentare, ripetute dal buoni per desiderio di consolare, credute dai prigionieri che soffrono e sperano, da me, che credo solo ai fatti, non credute né discredute.
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Federico Ambrosio Iervolino Iervolino Iervolino
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