Seppi che dopo di me vi fu condotto anche l'egregio mio amico signor Filippo Agresti, che poi vidi rinchiuso in orrida spelonca incavata nel sasso, buia, e sozzissima per un cesso dove gettavansi i vasi immondi degli altri prigionieri. Esule diciotto anni, era tornato in Napoli in febbraio 1848, fu arrestato in marzo 1849, ed è ancora mio compagno d'infortunio. Io sapeva che la polizia pochi giorni innanzi per uno di quegli arbitrii che sono indorati col nome di misure amministrative, dalle prigioni di Santa Maria Apparente aveva tramutati nella Vicaria i signori Trinchera, Cammarota, Nisco, Guadagno; che di notte aveva balestrati in castel Sant'Elmo il Leopardi, il Dragonetti, il Pica, il Barbarisi, l'Avossa, lo Spaventa; che il Poerio ed il Pironti erano stati condotti in Castel dell'Ovo: onde io credeva che per una simile misura fossi stato ivi condotto anche io. E credeva, come credo e sono certo, che di tutti questi trabalzamenti eran cagione le calunnie di un delatore carcerato, che mi odiava perché io lo conosceva, lo sprezzava, e quando io era in uffizio non aveva voluto ascoltare una sfacciata domanda di lui sfacciatissimo gridatore.
Ma il giorno 11 novembre il commessario signor Silvestri mi fe' chiamare, e m'interrogò dicendomi che io era accusato di appartenere all'Unità italiana, e di essere autore di un proclama. Risposi e feci scrivere che il commessario Bucci cinque mesi prima m'aveva dimandate le stessissime cose, onde io mi riportava a quello che aveva risposto a lui.
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