Sottoscritto questo brevissimo interrogatorio, io chiesi perché mi si facevan le medesime domande. E il commessario mi rispose, che egli istruiva un processo contro coloro che erano imputati di aver voluto il 16 settembre disturbare la benedizione che il papa dall'alto della reggia dava al popolo, facendo scoppiare una bottiglia di materia accensibile. "E in questo che c'entro io che son carcerato da giugno?" "Quel fatto fu ordinato dalla setta, della quale voi siete accusato essere uno dei capi, di aver tenuto riunioni in vostra casa, nelle quali si propose di uccidere quattro ministri; che nel carcere voi coll'Agresti e col Pironti approvaste il disegno di uccidere il ministro Longobardi, il prefetto di polizia signor Peccheneda, ed il presidente della corte criminale signor Navarra." Io non ricordo che parole io dissi quando intesi così scellerate e codarde calunnie, con quanta istanza chiesi di vedere in faccia quel vilissimo uomo che mi trafiggeva l'onore così malignamente. Allora intravidi tutta l'opera che i miei nemici avevano fatto contro di me, tutto l'odio implacabile, tutta la vendetta che volevano compiere. Non più solamente settario, ma capo; non datore, ma autore, di un proclama; non solo imputato politico, ma consigliatore di assassinii. Dissi, dissi, ma il freddo commessario mi rispose con un'eloquente stretta di spalle, e mi rimandò nella mia stanza. Il dimane il processo compiuto fu mandato alla corte criminale; onde per sola sevizia io stetti quarantadue giorni nelle segrete del castello, per sola forma fui interrogato; ché molti altri sono avvolti in questa causa e non furono mai nel castello.
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