Questo fatto non può provarsi, perché avvenuto tra l'inquisitore, il cancelliere, e gl'imputati veduti ed ascoltati solamente da Dio; ma l'inquisitore, il cancelliere, e gl'imputati dovranno giurare innanzi a Dio sulla verità del fatto. Ho saputo che il comandante del castello signor colonnello Almeyda, onorato e gentile militare, spinto da lodevole zelo, ma ignorando le attribuzioni sue e quelle d'inquisitore, fu adoperato anch'egli nella istruzione di questo processo strano. Sforzandosi di persuadere il detenuto Gualtieri di dir molte cose, gli dettò alcune dimande, e volle che il Gualtieri gli rispondesse in iscritto. Questi tornato nella sua stanza lesse quel dettato all'Agresti che era in una stanza contigua alla sua e divisa per una porta: rispose, e ritenne la minuta la quale comincia così: "Si chiede conoscere dalla giustizia i seguenti particolari, mentre la stessa è in piena conoscenza con prove incontrastabili" e dopo tre dimande finisce così: "I tristi congiurati a commettere delle nuove rivoluzioni non che progettarsi in tradimento per uccidere il prefetto della polizia, e il degno magistrato della presidenza criminale". Chi conosce l'Almeyda lo ascolta parlare. Nondimeno io non intendo di offendere quell'egregio uomo, e cortesissimo verso di me, e che io pregio altamente, ma voglio indicare chi lo spingeva a questi atti e in quale modo fu fatto il processo.
Il procuratore generale credé che questo processo fosse piccola cosa, e piccolo il numero di ventisette persone; onde raccolse tutti i processi dell'Unità italiana, nei quali si leggono accusate di setta più di dugento cinquanta persone, e tra i presenti ed arrestati ne sceglie quarantadue, e contro tutti i quarantadue scaglia un'accusa di morte, e chiede che il giudizio si faccia dalla corte criminale con rito speciale, cioè con procedimento più breve, senz'appello, e la decisione si esegua tra ventiquattr'ore.
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