Il quale dopo molto tempo e molte osservazioni riconobbe che egli aveva creduto manoscritto della difesa la dichiarazione che io scrissi il 13 maggio 1848 quando rinunziai all'uffizio; e tutto che sia un valentissimo e zelantissimo ispettor di polizia confessò ingenuamente di non saper troppo leggere. Richiuse e risuggellate le carte la terza volta, se ne scrisse al procurator generale, il quale rispose tornarsi a rivedere le inattendibili, farsene esatto elenco, e non trovandosi in esse alcuna cosa sospetta, restituirmisi. Così è stato fatto e dopo ben quindici giorni l'ho riavute. Le attendibili sono ancora in lazzaretto, ed aspettano che il procurator generale dichiari che un'offerta di danari, due rinunzie, un costituto, le posizioni a discolpa, e la benedizione di un papa non sono carte appestate e si possono rendere al padrone.
Ma perché si è cercato con tanta affannosa premura il manoscritto, mentre io non ho negato che la difesa l'ho scritta io? Questo perché non l'ho potuto sapere, nessuno ha saputo dirmelo, non l'ho potuto indovinare da me. È lecito agli uomini non comuni operare contro il senso comune. Ma per onore della verità e della umanità debbo dire che molti impiegati di polizia mi fanno cercar copie della mia difesa, me la lodano, e dicono di volerla gelosamente conservare; e conosco che non parlano ad inganno. Sia lode a Dio, che il buon senso sta anche in molti impiegati di polizia.
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Vengo a quello che la corte criminale ha deciso. Nei termini di legge io ho presentato per mezzo del mio avvocato le ripulse, le posizioni a discolpa, le nullità: lo stesso hanno fatto gli altri imputati.
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Dio
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