L'accusa sosteneva che io teneva riunioni settarie in casa, ed io vi chiedeva di esaminare tutti i vicini, di esaminare tutti quei gentiluomini nelle case de' quali io ad ore fisse ogni giorno andava ad insegnare, e vi faceva il conto, che non mi restava briciola di tempo. L'accusa sosteneva, che nel carcere io cospirava ed approvava disegni d'assassinii: ed io vi chiedeva d'interrogare l'ispettore delegato del carcere ed il custode, per sapere che cosa io faceva, e chi veniva a vedermi. Voi mi negaste tutto.
Ne' termini della difesa io repulsava il denunziante Iervolino, e vi dava sette testimoni per provare che costui era salariato dalla polizia, e per questa qualità non poteva essere udito in pubblica discussione. Voi ordinaste "rigettarsi la ripulsa, e sentirsi il testimone," cioè voleste udirlo, e come testimone. Dopo che l'udiste io per toglier fede a' suoi detti tornai a chiedervi di udire quei testimoni, e voi tornaste a negarmeli, ordinando che io dimostrassi salariato presentando documento. Io allora non so dire se lealmente o disperatamente vi chiesi, di domandar voi dalla stessa polizia, se il Iervolino aveva un salario, e voi neppure questo voleste concedermi. Questo era il mio discarico, voi me lo avete rigettato, dunque eravate persuasi o della mia innocenza, o della mia reità, e non voleste udire ragioni. Che se mi direte, non esser queste posizioni pertinenti, io rispondo che allora non è neppur pertinente l'accusa, alla quale queste si oppongono. È un fatto vostro questo, o signori, e la più chiara ed inevitabile conseguenza di questo fatto è, che negata la difesa, non si può ritenere l'accusa.
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Iervolino Iervolino
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