Ma ricordandosi l'istruttore che il Margherita pone il Carafa tra i componenti dell'alto consiglio, gliene parlò, gli parlò dell'Agresti e poi di me supposti presidenti; gli parlò del Pironti, del Persico, del Poerio e del Mascilli, nominato non dal Margherita ma dal Vellucci. Insomma dovette dirgli molto e di molti, ed il Carafa dovette rispondere che nulla sapeva. Ma di poi stanco dal carcere segreto, afflitto da sventure domestiche, e da altre cagioni che egli stesso ha narrate, e vedendo d'altra parte che si pretendeva che egli avesse saputo qualche cosa, per riacquistare la sua libertà, rendersi utile al re, e meritarne la clemenza, scelse il partito meno onesto, e scrisse una lettera nella quale espose non quello ch'egli già sapeva, ma quello che aveva udito dall'istruttore; e che egli malamente e disordinatamente ricordava; a cui aggiunse qualche sua ricordanza vaga, forse qualche cosa che aveva udito dal suo conoscente Giordano, e così formò quella strana lettera, che è ripiena della poesia della paura.
Questa pare una congettura, e non è che una verità dolorosa, la quale io ho saputo dalla sua bocca, e che egli certamente non negherà. Così si spiega che questa lettera contiene la confessione di non saper nulla, ed il desiderio di dir molto: così si spiega che salta di palo in frasca, dice cose senza legame e senza pruove; così si spiega che non fu scritta in una segreta, dove non si può avere né calamaio né carta: così si spiega che innanzi all'istruttore la ratificò, ed innanzi di voi disse che egli aveva mentito, e che gli era stata suggerita dall'istruttore.
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