Se egli in molti luoghi di questa lettera dice e ripete che nulla sapeva, che nulla gli si faceva sapere, come afferma poi che Agresti e Settembrini erano stati capi? Quando, da chi, per qual modo l'aveva saputo? Non è egli evidente, ch'ei si ricordava delle parole dell'istruttore, che per iscoprirlo gli nominava l'Agresti, e me, ed il Mascilli, ed il Pironti, ed il Persico? E vedete come egli ricordandosi di quel che aveva udito dir del Mascilli, e riferendone un fatto innocente, qual'è la gita in Campobasso, l'avvelena con questa aggiunzione, "mi disse andare per suoi affari, ma io lo aveva spesso veduto con Michele Pironti e Michele Persico."
Insomma questa lettera è uno sragionamento, un delirio, un vaniloquio, ed il Carafa che non si è mostrato mai stolto, ha avuto ragione di ritrattarla; perché in essa non si disse cose ch'egli sapeva, ma trasfigurò le cose che aveva intese dall'istruttore, il quale parlava non per suggerire ma per iscoprire il vero.
MARGHERITA - Se il Iervolino nella ratifica del suo primo libello, gittando un motto in aria dice che io e molti altri che nomina occupavam gradi nella setta: se il Romeo dice di aver udito dire che il Poerio, il Proto, e due ministri con me eran capi della setta; se il Carafa ripete da pappagallo che io ero capo; viene ultimo il Margherita, e mi crea prima membro d'un comitato centrale, poi membro d'un alto consiglio, poi segretario, poi presidente.
Signori, il Margherita è stato combattuto e distrutto dalla eloquenza dei difensori; consentite che ne parli anche io a modo mio.
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