Buona conoscitrice di antiche cose, ch'ella chiamò le sue «care anticaglie», squisita giudicatrice delle moderne, ella superò sì per il gusto innato che per la grazia del suo proteggere che sa di cordiale amicizia più che di favore sovrano, i più celebri mecenati di quei secoli: il magnifico Lorenzo, suo cognato Lodovico il Moro, Leone X: ed ebbe, tra tutti, come è stato giustamente detto, la fortuna di presiedere, volta per volta, alle tre grandi manifestazioni del Rinascimento italiano: di potersi valere, cioè, dei Primitivi, dei rappresentanti del periodo aureo, e di quelli della fine del Rinascimento, un crepuscolo di imperiale splendore!
Lavorarono così per lei: il Perugino e Mantegna (questi può dirsi il pittore cesareo della Corte di Mantova), Leonardo e Raffaello, Tiziano e Giulio Romano: e certo nessuno degli altri grandi mecenati si vide intorno, adunata con sapiente e paziente fatica, così meravigliosa e densa fioritura di artefici: Aldo Manuzio, Pietro Bembo, Bibbiena, Lodovico Ariosto, Paolo Giovio, Bernardo Tasso, Baldassarre Castiglione, Bandello, Mantegna, Giovanni Santi, Leonardo, Vecellio, lo scultore di medaglie Cristoforo Romano, Lorenzo Costa, Pietro Perugino, Giovanni Bellini, Raffaello, Giulio Romano, Correggio, Sebastiano del Piombo, ed altri, ed altri ancora. E con quasi tutti fu in corrispondenza di lettere, e nessun epistolario femminile di quel tempo è più vivace, più elegante del suo. Ne dò qualche rapido saggio, non lasciandomi vincere, per economia di spazio, dalla tentazione di citare assai più lungamente.
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