Ella aveva allestiti, nel suo palazzo, due appartamenti, secondo il suo piacere: al piano terreno era il museo delle sue preziose «anticaglie», che era chiamato «la Grotta»: un poeta del tempo ha detto:
«...e giù posto a terrenoQuel loco che la Grotta il mondo appella.
L'appartamento del piano superiore era detto il «Paradiso», e di questo le stanze più intime, a lei più care, erano il suo celebre «Studiolo». Una meraviglia. Le pareti ricoperte di squisite tarsie di legno, i soffitti tutti a delicati ori su fondo azzurrino, su cui si legge, oltre al nome della Dea di quel tempio, la sua bella e forte divisa: «Isabella Estens. March. Mantuae 1524. Nec spe nec metu». Le tavole e le tele dei prediletti maestri la adornavano, le porte eran squisitamente scolpite nel marmo: e collezioni di medaglie e di camei, di rari strumenti musicali (era Isabella esperta arpeggiatrice di liuto) di armi damaschinate, di pietre preziose incise. Ivi si allineavano i libri che Aldo Manuzio le mandava, in rilegature stupende; ed alti specchi di Murano riflettevano tutti quei peregrini tesori. I soggetti delle pitture, voluti e comandati da lei, erano tutti lieti: qui una «Leda» di Lorenzo Costa, là danze di amorini del Perugino; poi due quadri di colui ch'è stato detto «il più grande poeta della pittura», Antonio Allegri; e due tavole meravigliose di Andrea Mantegna: l'una «Venere e Marte sorpresi da Vulcano», l'altra «Minerva e Diana che scacciano i vizî».
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È facile a noi, mi pare, di comprendere, come nessuna delle corti del Rinascimento potesse stare al pari di quella di Mantova, la quale era ritenuta da tutto il mondo come un vero Museo.
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