Intorno a lei tutta la «Società» del Rinascimento: bellissime dame e damigelle, adolescenti dalle lunghe chiome, cavalieri serrati nelle cotte di velluto, di zendado o di ermesino, oppure scintillanti d'armi damaschinate. Volan per l'aria le strofe di Poliziano e di Lorenzo, si slancia verso il cielo la recente cupola di Brunellesco, ridon per tutta Italia le tele di un manipolo di grandi che comunicano altrui la gioia dei loro sogni immortali: l'anima dell'uomo (e non è essa forse l'universo?) si ridesta alla bellezza ed alla gioia, avendo gettato come un ponte di luce, su le tenebre, che la riallaccia alla divina serenità dell'antica Grecia.
Che fa se la grande profetica anima del Savonarola esala in roventi parole, che sembran l'onda di biblici fiumi, le sue tristi profezie? Che fa se la politica italiana giace inerte, ferita la sua grande ala di vecchia aquila? La gloria di un popolo è multiforme: non abbiamo dunque il diritto di lagnarci di un periodo nel quale la bellezza, fiorisce sul caro suolo italico e irraggia il mondo come da un trono.
Solo molto più tardi alle idee si sostituiranno le azioni, e la nostra patria sarà fatta una, autonoma e imperitura: allora la patria ideale delle anime era l'arte, l'angelo delle vittorie era il genio dei nostri artefici immortali.
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Isabella d'Este Gonzaga fu dunque del rinascimento, agli occhi miei, l'anima femminile più serenamente poetica, la mente più equilibrata, il più limpido e più puro sorriso. E il suo amabile ingegno, il suo sano eppure ardente amore per l'arte, fu l'essenza stessa della sua vita, fu la stella dolce splendente che la guidò nel suo cammino, fu la fiamma viva che purificò l'aria intorno a lei, divenuta per virtù di quel fuoco, refrattaria ad accogliere ogni alito impuro.
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