La tradizione ci narra che il giovane romano non si lasciò prendere al laccio, aiutato nella resistenza, dalla sua gelida natura, in cui l'ambizione longanime era l'invincibile forza: ma certo la sua nemica non ebbe a mettere al passivo di quell'impresa fallita (i politici sogliono, ahimè, non guardare ai mezzi in vista dello scopo: e non solamente in Egitto!) nessun atto che recasse offesa alla sua dignità sovrana. Farà forse qualcuno le meraviglie per questa mia discesa in campo pe' belli occhi di Cleopatra: chè a Scuola, nelle storie «ad usum delphini» s'impara a nutrire un sacro orrore per la nemica di Roma, per colei che «ha scorticato Marc'Antonio» come dice Goldoni, per «Cleopatras lussurïosa», come dice il padre Dante, il quale forse non la disprezzava tanto, quantunque l'abbia messa nelle «tenebre eterne». Ma io resto salda nella mia opinione, e spezzerò la mia lancia donchisciottesca, per la memoria tanto vituperata della principessa egiziana: forte anche di quello che ha detto il Manzoni, cioè che «i fatti bisogna interpretarli e giudicarli con qualche cosa ch'è superiore ai fatti».
L'impresa mia, lo riconosco, è alquanto ardua: Cleopatra, ahimè, non è popolare, e sono certa che un plebiscito mascolino la dannerebbe, inesorabilmente, a morte. Per quell'odio fatalmente latente fra i due sessi, quale uomo potrebbe pensare senza retrospettivo dispetto, che la piccola mano della Lagide ha menato pel naso Giulio Cesare, l'uomo forse il più grande della latinità? Ma in un nobile consesso femminile, di donne nobili per intelletto e nobili per virtù d'animo, chi mai oserebbe, pur essendo senza peccato, di gettare la prima pietra alla donna sventurata che tanto amò? Pensando, studiando, criticando senza partito preso, non è possibile non accorgersi d'essere davanti ad una creatura di gran razza, ad una figura deliziosamente estetica, a una donna assolutamente di valore.
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