Se nella vita ella avea potuto qualche volta discendere dal suo trono, con la morte ella vi risale per sempre.
I soldati di Ottavio non avranno viva la discendente di tanti re. Vestita di porpora e di bisso, col serto dei Lagidi su la breve fronte bianca come la luna, coricata sul suo letto di cedro e d'oro, istoriato da sapienti artefici alessandrini, ella dorme per sempre, calma e superba, come Iside divina.
I brutali legionari romani entrano, calpestando i molli tappeti, versando i monili di perle dalle coppe preziose.
«La Regina?» — «Eccola» dice una delle sue donne. E l'aquila romana s'inchina alla maestà della morte.
Gli onori supremi, meglio che ad Alessandria, furono resi a Cleopatra nella città eterna. La sua morte vi fu festeggiata con giuochi e sacrifizi, sì come quella di potente e temuta nemica. Forse che l'odio di Roma poteva addensarsi su d'una vaga testa di donna, se questa, sotto il raggiante serto, non avesse avuto una mente forte e consapevole? In lei spariva finalmente l'Oriente guerriero, nemico di Roma, e il popolo romano ne esultava: ma la sua memoria rimaneva, eterno retaggio di Poesia e di Bellezza, alla Storia e all'Arte.
E noi, dopo così lungo ordine di secoli, noi esteti d'una età in cui mal si ristora chi alle fonti della bellezza spera spegnere la propria sete, all'eterno retaggio esultiamo ancora. Il dilettevole — lo ha detto persino Leopardi — «è utile sopra tutti gli utili della vita». Creare della gioia è beneficare l'umanità: una cosa bella è gioia, per sempre, sia essa finzione d'arte o realtà. E la vita di Cleopatra è un capolavoro vissuto.
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