La lunga teoria di pallide e mute Regine, di splendide e sfrontate cortigiane, è travolta nell'oblio: a Versailles, Maria Antonietta, con la piccola orma del suo piede, appose il suggello che lo asserviva all'unica sua sovranità.
Ma pure ammettendo e riconoscendo che quel luogo e quel momento storico ebbero in lei una Regina che vi si adattava come una gemma nel castone del suo anello, è assurdo non vedere che ella, la grande Calunniata, non portò nessun contributo peggiorativo nell'ambiente in cui visse e cui presiedè, prendendolo quale esso era. La società francese del secolo decimottavo: quella società che, come ha detto Taine, «era quasi tutto, mentre lo Stato era quasi nulla»: ecco la grande colpevole, quella in cui si devono cercare le cause, ed anche le attenuanti, degli errori della giovane Regina. Di essa Talleyrand ha detto più tardi «chi non conobbe la società francese prima dell'89 non conobbe la vera gioia di vivere»: società di «decadenti», di esseri corrotti a forza di raffinatezze, di vita molle e gioiosa, dimentichi dell'alta responsabilità di chi rappresenta un glorioso passato, da cui il denaro, sudato dal popolo oppresso, era gettato con una spudoratezza consentita solo dalla sincera incoscienza. Sì che, per un esempio, il cardinale di Rohan aveva tutte le batterie delle sue cucine di argento massiccio: e il principe di Conti faceva, come epilogo di un intrigo galante, ridurre in polvere un brillante di parecchie migliaia di lire per seccare l'inchiostro di un biglietto per una dama!
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