... se la sua andatura («incessu patuit dea») non la svelasse, almeno a chi la conosce da vicino. Eppure il marchese Caracciolo, inviato del re di Napoli, con ingenuità che fa torto alla sua penetrazione d'italiano e di diplomatico non riconosce la profumata dama bianca, che lo mette alla disperazione, che accende il suo sangue, pronto a divampare come il fuoco che rugge dentro la terra, laggiù nella sua patria lontana!
Oh come è giulivo lo scoppio d'ilarità della Regina, quando finalmente si rivela! Che giovanile malizia soddisfatta le brilla nel chiaro sguardo!
Nulla di più semplice, di più innocente, è vero? Nulla di più graziosamente «settecento». Eppure quanto germogliare di male erbe della critica e della calunnia!
Ella, l'incosciente, non faceva alcun vero male ma non comprendeva, e nessuno sapeva farle comprendere una cosa: che quelli erano tempi in cui la Regina di Francia non aveva più il diritto di ridere!
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Adesso siamo a Trianon. «Ici je suis moi» ella diceva: e qui mi piace pensarla, la creatura adorna di tutte le grazie e materiata di sentimento, colei che amò così appassionatamente la Natura e che sarebbe stata degna d'essere generata dalla fantasia del divino sentimentale della voluttà, Gian Giacomo Rousseau. Ella fuggiva, è la parola esatta, fuggiva da Versailles, dove la regalità l'opprimeva come una cappa di piombo, e si rifugiava a Trianon, il suo piccolo regno, fatto di verde, di sole, di limpida acqua scrosciante. Là rivestiva la sua bella persona di lino candido, il celebre «linon» di Maria Antonietta, il lieve fazzoletto s'incrociava sul colmo petto, si annodava dietro la vita prodigiosamente sottile: un largo cappello di paglia conteneva il «rivol d'oro», e la «badine» era il bordone dell'augusta pellegrina.
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