Viveva forse in lei la oscura anima di Venezia, così, fraintesa da' suoi meravigliosi pittori, che ce la rappresentarono come la città dell'orgia e della gioia, mentr'essa racchiude nelle sue linee e ne' suoi colori un sogno di mesta e pensosa voluttà?
I costumi, le feste, il lusso, la vita de' Veneziani, entrarono negli occhi e nello spirito de' suoi maestri coloristi, i quali ne colsero l'esteriorità trionfale e luminosa; ma nessuno, se non Giorgione, sentì che le vecchie pietre baciate dai verdi flutti non dicono all'uomo cose di gioia!
Se è vero che l'architettura è «musica pietrificata» quale musica è, per esperti orecchi, Venezia? Non già musica gaia e serena che dia a noi il riposo e la gioia, come ci danno le linee rette, semplici e solenni dell'arte greca: linee che sono in armonico accordo con quel limpido cielo, con l'olimpica serenità dello spirito attico.
Arrigo Boito ha alcune battute descrittive nel sabba classico del suo Mefistofele, che sembrano un pezzo di cielo greco musicato!
Ma a Venezia, il marmo che perde la impassibile solennità delle linee, e s'inarca, si piega, si raddolcisce, si frastaglia, tormentato fino al delirio dalle carezze dell'artefice, che si marita all'oro ed al colore, che si sforza di diventare luce e lascia dappertutto penetrare il cielo, mentre l'acqua verde e muta lo abbraccia, striscia a' suoi piedi, s'insinua tra le sue bellezze, bacia le porte istoriate, gitta spruzzi leggeri fin su a' balconi trilobati, serpeggia eterna, piena d'ombre o di scintille, nel suo umido, multilingue bacio; il marmo qui non dice a noi, nella sua grande canzone senza parole, cose di serenità. Ma si levano su dalle vecchie pietre e dalle verdi acque accenti profondi di passione, voci di voluttà dolorosa, sorrisi misteriosi che somigliano al pianto.
| |
Venezia Veneziani Giorgione Venezia Boito Mefistofele Venezia
|