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      19 dell'Antichità, cap. 1 nel fine.
      San Girolamo, scrivendo A Innocenzio di una donna la quale sette volte fu tormentata, referisce che un giovine, non essendo tormentato così crudelmente come ella, confessò (ancora che falsamente) aver commesso l'adulterio, e che perciò egli fu condennato alla morte, ma che la donna costantemente sopportò i tormenti e quelli vinse né confessò cosa alcuna. Ma di questo sia detto assai.
     
     
      Cap. 27
     
      Che il marito non debbe battere la moglie
     
      Ippolito Marsiliense, sopra la Legge prima, colonna ultima, ff., De quaestio‹nibus›, dice che quella Glosa è molto notabile, che dice: "O mariti, non temete, ma senza paura alcuna battette, percotete, ferite, con mano, [117r] con pugni, con bastone, con legno e con corda la moglie". La qual Glosa non è dubio che non sia da esser biasimata e sprezzata, e che parimente quelli uomini che si governassero sì come ella dice non fossero degni di grandissima riprensione, perciò che, come si legge appresso Vergilio, lib. 2 dell'Eneida:
     
      Nessun nome o famamemorabil s'acquista in punir donna
      né merta il vincitor lode né pregio.
     
      La qual sentenza, communemente parlando delle donne, nondimeno molto si referisce alle moglie. E che sia vero che non si debbia battere le moglie né malamente trattarle, lo manifesta Plutarco nella Vita di Catone Censorino, il quale, quantunque avesse provato moglie cativa, fastidiosa e soperba, nondimeno egli affermava che, ciascuno che battesse o mal trattasse la moglie, egli non altrimente che s'avesse viciato il simolacro de Dio dovea essere dapertutto perseguitato e maladetto.


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La difesa per le donne
di Vincenzo Sigonio
pagine 140

   





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