INTRODUZIONE.
La storia c'insegna che il carattere dei popoli, le virtù o i vizj, l'energia o l'indolenza, i lumi o l'ignoranza non sono quasi mai l'effetto del clima o della particolar razza, ma l'opera del governo e delle leggi: che tutto dalla natura vien dato a tutti, ma che il governo conserva questa comune eredità al suoi soggetti, o ne gli spoglia.
Tale verità, più che da qualunque altra, viene luminosamente dimostrata dalla storia d'Italia. S'avvicinino le diverse razze d'uomini che successivamente abitarono questa terra di grandi memorie; si confrontino le loro qualità caratteristiche, la moderazione, la dolcezza, la semplicità dei primi Etruschi, l'austera ambizione, il maschio coraggio de' coetanei di Cincinnato, l'avidità e l'ostentazione de' partigiani di Verre, la mollezza e la viltà dei sudditi di Tiberio, l'ignoranza de' Romani de' tempi d'Onorio, la barbarie degl'Italiani soggiogati dai Lombardi, la virtù loro nel secolo dodicesimo, lo splendore del quintodecimo e finalmente il decadimento de' moderni Italiani(1). Eppure lo stesso suolo alimentò questi esseri di così diverso carattere, lo stesso sangue circolò nelle loro vene; perciocchè le barbare nazioni che vi si frammischiarono, perdute, per così dire, nel vasto mare degl'indigeni, non hanno potuto in verun modo modificare la fisica costituzione degli uomini che l'Italia produceva. Ma se la natura rimase la medesima per gl'Italiani d'ogni tempo, cambiò frequentemente il governo, e le sue mutazioni precedettero sempre o accompagnarono le mutazioni del carattere nazionale; e le cause non furono mai tanto evidentemente legate agli effetti.
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