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      Scorsero l'Italia e la Germania fino alle loro estremità, incendiando le città aperte, e lasciando ovunque orribili tracce del loro passaggio. Ma quantunque l'Europa rimanesse quasi affatto abbandonata al loro furore, non fecero veruna stabile conquista: quell'armata che aveva portato la desolazione a traverso dell'Italia fino a Capoa, ed a traverso dell'Allemagna fino a San Gallo, dopo essersi dissetata di sangue, si affrettava, senza che niuno la sforzasse, di rinselvarsi nelle foreste della Pannonia, trasportandovi le ricche spoglie che aveva raccolte(44).
      Quando accadde la prima invasione degli Ungari l'anno 900, Berengario, cui era perfino ignoto il nome di questo popolo, e che lo vedeva avanzarsi fin sotto le mura di Pavia dopo aver rovinata la Marca Trivigiana, riuniva frettolosamente tutti i vassalli della corona, e formava un'armata tre volte più numerosa di quella dei barbari, contro de' quali si mosse. Gli Ungari spaventati, e non conoscendo ancora il paese, ritiraronsi fino al di là della Brenta, facendo nello stesso tempo offerte di pace, e chiedendo la permissione di ritornare senza ostacolo ai loro focolari non portando con loro le prede che avevano fatte. Ma Berengario, lusingato di poterli castigare in modo che più non pensassero ad invadere i suoi stati, li forzò di venire a battaglia. Egli non aveva abbastanza calcolata l'energia che suol dare la disperazione, nè le segrete discordie che indebolivano il suo esercito, e fu pienamente disfatto. Gli Ungari vittoriosi rientrarono nelle province interne dell'Italia, che corsero senza incontrar resistenza; perciò che la disfatta di Berengario aveva scoraggiata di maniera tutta l'Italia, che verun capitano non ardiva porsi a fronte di così feroci nemici(45).


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo I
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 281

   





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