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      Sì gli uni che gli altri non avevano che cavalleria leggiere, che batteva il paese a piccoli squadroni senza tentare conquiste, e senza occuparsi mai di difendersi alle spalle, o di assicurarsi la comunicazione col grosso dell'armata. Non si prendevano maggior pensiere dei viveri e dei foraggi, di cui provvedevansi ovunque colla violenza. La rapidità della marcia dava loro infinito vantaggio sulla cavalleria pesante de' gentiluomini, e sulle milizie a piedi delle città. E siccome non cercavano di combattere, ma di rubare, evitavano possibilmente di scontrarsi coi nemici. Non avendo altra patria che il piccolo loro accampamento, invece di ritirarsi in faccia a forze superiori, avanzavano il nemico in velocità, e si portavano sul di dietro a saccheggiar le province che avrebbe dovuto coprire. Nè i re, nè i grandi Feudatarj avevan perduto un palmo dei loro stati; ma in mezzo ai loro dominj, un nemico che non potevano mai raggiungere, saccheggiava, quando una e quando l'altra, tutte le loro province.
      Gli Ungari spinsero talvolta le loro scorrerie fino a Capoa e fino ad Otranto, talchè scontraronsi talvolta coi Saraceni. Frattanto questi popoli nomadi dividevansi l'Italia; desolando (900=924) i primi tutto il paese al nord del Tevere, gli altri tutte le contrade al mezzodì di questo fiume.
      Le guerre degli Ungari e dei Saraceni influirono immediatamente sulla libertà delle città. Prima di queste incursioni erano in Italia quasi tutte aperte e senza difesa; non prendevano veruna parte nel governo, nè avevano milizie; ed i borghigiani godevano di troppo scarsa considerazione perchè potessero credere d'avere una patria.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo I
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 281

   





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