Di mano in mano ch'egli avanzava s'andò rinforzando talmente la sua armata, che Ugo non osò di affrontarla. Il marchese d'Ivrea convocò a Milano gli stati del regno, facendoli arbitri tra l'antico ed il nuovo monarca. Quell'illustre assemblea sentì d'aver ricuperata l'indipendenza, e per conservarla sforzossi di stabilire l'equilibrio dei poteri tra i due pretendenti al trono. Riconobbe re Lotario figliuolo di Ugo, e confidò poi l'intera amministrazione del regno a Berengario(60).
Non era possibile che le cose rimanessero lungo tempo in tale stato: vi si opponeva la mal soddisfatta ambizione di Berengario, il quale considerando che Lotario non aveva meritato col di lui padre l'odio degli Italiani, e che sua consorte Adelaide era adorata dai sudditi, aveva giusta cagione di temere che la confidenza degl'Italiani s'accrescerebbe ogni giorno per Lotario con suo pregiudizio: e Berengario fu creduto colpevole d'aver avvelenato il giovane re per non rimanere esposto all'incostanza del favor popolare(61). Morto Lotario, chiese per suo figliuolo la mano della vedova Adelaide, e cercò, ma inutilmente, colle minacce e col trattarla duramente, di ridurla al suo volere. Egli non s'avvide che non era più il tempo di poter assicurare il dominio coi delitti, avendo egli col suo esempio avvertiti gl'Italiani, che trovavasi oltre monti un vendicatore dei delitti dei re lombardi. I popoli avevano veduta senza interesse l'incoronazione di Berengario, i prelati sentivano pietà d'Adelaide, i grandi temevano un despota nel re senza rivali.
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