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      Il canone che proscriveva le investiture non fu da prima applicato all'elezione dei papi; non avendosi un solo esempio che alcuno imperatore vendesse questa suprema dignità; e le concessioni fatte dalla Chiesa ad Enrico III erano troppo fresche per poterle adesso distruggere; onde il concilio lateranese si limitò a modificarle. Le future elezioni dei papi, invece di lasciarle, secondo l'antica consuetudine, al popolo romano, si attribuirono ai cardinali, i quali non ne avevano per altro l'assoluta esclusiva. Essi dovevano riunirsi prima degli altri, ond'essere, giusta il decreto, le guide praeduces dell'elezione; il rimanente del clero, ed il popolo dovevano accontentarsi di seguirli, e doveva l'operazione aver compimento «salvo l'onore ed il rispetto dovuto al re Enrico futuro imperatore, e coll'intervento del suo nunzio il cancelliere di Lombardia, cui la sede apostolica accordò il privilegio personale di prender parte all'elezione colla propria adesione»(209). Le vaghe espressioni del canone del concilio lateranese furono poi il fondamento del diritto esclusivo, che i cardinali si appropriarono, di nominare i capi della Chiesa. La riserva, benchè assai più chiara, del diritto monarchico, non impedì che alla prima vacanza accaduta due anni dopo, non si elegesse Alessandro II, senza neppur chiedere l'assenso d'Enrico, o dell'imperatrice reggente(210). Di modo che la corte irritata nominò in Allemagna un altro papa Cadolao vescovo di Parma, lo che diede motivo a nuovo scisma.
      Nello stesso concilio di Laterano venne espressamente ammesso come dottrina cattolica il domma della presenza reale nell'Eucaristia.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo I
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 281

   





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