«Eccole, disse loro, quelle insegne della real dignità, che la bontà del re dei secoli, ed i pieni suffragi dei principi dello stato mi accordarono. Non farò uso della forza per difenderle, che non previdi un domestico tradimento, nè pensai a prevenirlo. Il cielo mi diede grazia di non supporre tanto furore ne' miei amici, nè tanta scelleratezza nei miei figliuoli. Pure, con l'ajuto di Dio, il vostro pudore difenderà forse la mia corona, o se pure non vi tocca il timore di quel Dio che difende i re, ne vi cale della perdita dell'onor vostro, soffrirò dalle vostre mani una violenza da cui non posso difendermi.»
Ai deputati, resi incerti da tale discorso, perchè mai esitate, gridò il vescovo di Magonza, non è di nostra spettanza il consacrare i re e vestirli della porpora? Perchè non sarà da noi spogliato quello che per una «pessima scelta fu da noi vestito?» A tali parole, avventandosi contro Enrico, i deputati gli tolsero la corona di capo, e forzandolo a scendere dal trono, lo spogliarono della porpora, e degli ornamenti reali. Intanto Enrico gridò ad alta voce: «Sia Iddio testimonio del vostro procedere. Egli mi castiga per i peccati della mia gioventù, facendomi soffrire un'ignominia che altro re non sofferse giammai. Ma voi che osaste portar le mani sul vostro sovrano, voi che violaste il giuramento che vi voleva a me fedeli, voi pure non isfuggirete alla sua collera: Iddio vi punirà come ha punito l'Apostolo che tradì il suo maestro.»
Ma gli arcivescovi, disprezzando le sue minacce, si recarono presso il giovine Enrico per consacrarlo; mentre l'imperatore chiudevasi in Lovanio, ove s'affollavano intorno a lui gli antichi amici, promettendogli il loro soccorso.
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