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      Una deputazione, mandata al duca di Benevento, gli espone che la città trovatasi ormai in sua balìa; che s'egli la risparmia, sarà la miglior gemma della sua corona; che se per l'opposto le dà un nuovo assalto in sul cadere del giorno, egli non potrà nè contenere i suoi soldati, ne salvar Napoli dal massacro, dal saccheggio e dall'incendio che gli assediati provocheranno con una disperata difesa: gli rappresenta la sua gloria medesima interessata ad aspettare che il sole rischiari il suo trionfo; lo prega di risparmiare tanti infelici che non domandano per arrendersi che il brevissimo spazio d'una notte; e come pegno della vicina loro sommissione, gli viene presentato tutto quanto il duca Stefano aveva di più caro, la madre ed i due figli. Sicone riceve gli ostaggi, e fa suonare la ritirata, aspettando d'entrare in città allo spuntare del giorno(265).
      Frattanto Stefano riunisce a parlamento i suoi soldati e concittadini. «Io non sono più maestro dei soldati, dice loro; ho perduto questo glorioso titolo nell'istante in cui ho acconsentito di sottomettere la vostra patria al giogo de' Beneventani. Voi siete liberi, sceglietevi un capo il quale più di me fortunato rialzi le mura e vi conduca alla vittoria.» Stefano dopo questo discorso sortì da Napoli, offrendo il suo capo alla vendetta del nemico. Egli fu ucciso dai soldati di Sicone innanzi alla chiesa di santa Stefania(266).
      I Napoletani, attenendosi ai suoi consigli, avevano dato il titolo di maestro dei soldati ad un loro capitano, chiamato Bon, il quale ordinò subito che le donne, i fanciulli ed i vecchi, unendosi ai soldati travagliassero con ardore tutta notte a rialzare le mura, ed a cuoprirle di larga fossa.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo I
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 281

   





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