Pipino, figliuolo di Carlo Magno, formò l'ardito progetto di allargare il suo nuovo regno con pregiudizio di Niceforo imperatore d'Oriente: sperava di levargli la Dalmazia e l'Istria, ed aveva saputo far entrare ne' suoi interessi Obelerio allora doge regnante di Venezia, cui la corte francese accordava molti favori. Ma questo magistrato non solo non potè ridurre i Veneziani a prender parte ad una lite tanto contraria alle loro inclinazioni, ma non potè pure impedire che l'assemblea generale convocata a Malamocco non facesse a Pipino conoscere il rifiuto delle sue offerte, e le relazioni della nazione coi Greci. Di ciò offeso il principe, rivolse le sue armi contro i Veneziani, bruciando loro le due città di Eraclea e d'Aquilea, la prima delle quali era stata alcun tempo la capitale della repubblica fino all'epoca in cui Teodato quarto doge trasferì la sede del governo a Malamocco(365). Nè andò molto che, credendosi nuovamente provocato, fece allestire una flotta a Ravenna, e provvedutala di truppe da sbarco, s'impadroni di Chiozza e di Palestina, indi approdò all'isola d'Albiola separata da un angusto canale da Malamocco. In così difficile circostanza Angelo Participazio, uno de' principali cittadini(366), consigliò i suoi compatrioti ad abbandonare le mura della capitale, ed a trasportare a Rialto tutte le loro ricchezze, essendo la sua situazione più forte assai per essere quest'isola propriamente nel centro della laguna. I vascelli di Pipino tentarono d'inseguirli, ma le barche leggieri dei Veneziani, fuggendo innanzi a loro, seppero attirarli sopra bassi fondi, ove, non potendo nella discesa della marea manovrare, furono attaccati con vantaggio, ed abbruciati quasi tutti, o presi dai Veneziani.
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