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      I Veneziani che fino a tal epoca colla rispettosa loro condotta avevano dato luogo di dubitare, se fossero sudditi o alleati dell'impero di Bizanzio, resi orgogliosi dai prosperi avvenimenti, e volendo imitare i crociati loro nuovi alleati, rinunciarono bruscamente all'antico sistema di rispettosa deferenza. Giovanni Comneno, detto Calojano, uno de' più valorosi guerrieri, e de' più virtuosi imperatori che occupassero il trono di Bizanzio (1124), ordinò che fossero poste in sequestro tutte le navi veneziane che trovavansi ne' suoi porti, finchè la repubblica soddisfacesse alle lagnanze provocate dalla condotta de' suoi cittadini. Il doge Domenico Michieli che comandava allora una flotta che aveva di fresco conquistato Tiro con molta gloria, la condusse innanzi a Rodi, e dopo aver presa questa città d'assalto, l'abbandonò al saccheggio. Passò inseguito a Scio (1125), di cui si rese padrone, e vi svernò la flotta. Nella susseguente primavera saccheggiò le isole di Samo, di Mitilene, di Andres. Facili erano tali successi e poco gloriosi, perchè i Greci, dopo l'indebolimento de' Saraceni, non avendo che temere dalla banda del mare, avevano trascurate le fortificazioni delle loro isole, e, ritirate le guarnigioni e gli uomini atti alle armi per opporli al Turco sul Continente. Vero è che la repubblica di Venezia raccolse molti allori sul territorio dell'impero greco, ma ella deve, assai più che gli altri popoli crociati, rimproverarsi d'averne occasionata la caduta. La nazione greca era bensì corrotta dal lungo dispotismo che l'opprimeva, ed aveva da gran tempo perduta quell'energia, quello spirito vitale che conserva gli stati, e lega gli uomini al destino della loro patria; ma una felice combinazione aveva portata sul trono di Costantinopoli una valorosa famiglia; l'amor delle lettere veniva incoraggiato dai Comneni, come quello della milizia, perchè i principj cavallereschi de' crociati eransi sparsi nella nazione.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo I
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 281

   





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