Egli manca di ordine, e pecca di parzialità, ma pure alletta: provveduto di non ispregevole erudizione cita a proposito gli autori romani, e frequentemente fa pompa della sua conoscenza della lingua greca, e non poche volte con ridicola vanità; si vede che gli era ugualmente familiare la lingua allemanna; e per ultimo qualunque volta la sua fantasia viene riscaldata dal soggetto, passa dalla prosa alla poesia, ed i suoi versi non sono affatto privi di lepore.
Luitprando era canonico di Pavia, e segretario di Berengario II, dal quale nel 946 fu mandato ambasciatore a Costantinopoli presso Costantino Porfirogeneta. Ritornato in patria, ebbe qualche motivo di disgusto con Berengario, e passò in Germania alla corte d'Ottone il grande, che accompagnò in Italia quando venne a conquistarla. Ebbe dall'imperatore il vescovado di Cremona, e fu suo ambasciatore a Roma ed a Costantinopoli. Scrisse una curiosa relazione della sua andata in quest'ultima città presso l'imperatore Niceforo Foca(432). Alcuni troppo liberi racconti che Luitprando innestò nelle sue scritture non ci permettono di formarci una troppo favorevole idea della gentilezza dei grandi di que' tempi, e di quella che allora chiamavasi buona compagnia; soprattutto quando rammentiamo il rango che aveva alla corte e le funzioni ecclesiastiche di questo storico.
Alcuni scrittori dell'Italia meridionale che fiorirono nel decimo e nell'undecimo secolo, meritano pure distinta ricordanza. L'anonimo di Salerno, Gaufrido Malaterra, Alessandro di Telesa e Falco di Benevento si fanno tutti leggere con interesse.
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