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      La forza individuale, quella confidenza nei proprj mezzi, quella costanza che fa disprezzare i pericoli personali, e la forza straniera quando è ingiusta; quella determinazione di non seguire che i dettami della propria coscienza e de' proprj lumi, sono qualità e virtù del selvaggio. Con questa gli abitanti della Germania e della Scandinavia si stabilirono ne' paesi meridionali; recarono seco l'indipendenza; e quando costituirono nazioni, non seppero mai ridursi a dar loro legami abbastanza forti per tenerli uniti. I loro stessi principj dovevano naturalmente produrre gli effetti che produssero, la libera fierezza di tutti i cavalieri, ma in pari tempo la disunione loro, e l'opinione de' conquistatori, che per essere liberi era d'uopo essere principi.
      Per l'opposto la forza sociale non poteva nascere che nelle città, e le città che sono l'opera de' popoli civilizzati non esistevano che ne' paesi meridionali. Credendo gli Scandinavi che non potessero gli uomini vivere riuniti senza diventare schiavi, facevansi un dovere di distruggere le città; e quelle che diedero in Italia l'esempio di quella forza sociale, di cui i barbari non ne conoscevano l'esistenza, eransi quasi prodigiosamente sottratte alle loro devastazioni, o s'erano rialzate dalle proprie ruine.
      La forza sociale è riposta nel totale sacrificio dell'individuo alla società di cui è membro. Quest'abrogazione di sè medesimo, è fondata, non v'ha dubbio, sul pieno convincimento che il bene comune è quello degl'individui; ma il solo calcolo non condurrà mai il cittadino all'intero sacrificio che da lui domanda la patria: invano gli si dimostrerà che mille volte l'utile della patria è stato anco il suo; nell'istante del suo pericolo personale l'utile patrio cessa d'influire sulla sua prosperità. V'ebbe dunque nell'unione sociale alcun più nobile motivo d'un contratto tra i privati interessi: è la virtù, non l'egoismo, che riunisce l'uomo alla patria: è la riconoscenza de' ricevuti beneficj che ci lega agli amici, ai fratelli; la filiale e religiosa riverenza che ci lega alla patria, a quell'essere sovrumano che la nostra imaginazione pone tra Dio e gli uomini; la tendenza dell'anima all'immortalità che associa la nostra esistenza ai secoli passati, ed ai secoli futuri, e ci costituisce depositarj della gloria dei nostri antenati e dalla prosperità dei nostri discendenti.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo I
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 281

   





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