(1127) In primavera del 1127 i Milanesi avanzaronsi di fatto verso Como con un'armata assai più numerosa che negli antecedenti anni, avendo avuto modo d'interessare nella loro lite quasi tutte le repubbliche che vi avevano presa parte del 1119. Se prestiamo fede al poeta comasco, vedevansi nell'armata milanese gli stendardi di Pavia, di Novara, di Vercelli, del giovane conte di Biandrate, d'Asti, d'Alba, d'Albenga, di Cremona, di Piacenza, di Parma, di Mantova, di Ferrara, di Bologna, di Modena, di Vicenza e dei cavalieri della Garfagnana14. Nè i Milanesi accontentaronsi al presente d'attaccare i castelli che difendevano la città, ma s'avanzarono sul piano ov'è fabbricata, ed accamparonsi presso alle sue mura. Avevano ordinato agli abitanti della borgata di Lecco, posta all'estremità d'un golfo del lago di Como15, di condurli legnami di costruzione; ed avevano assoldati a Pisa ed a Genova alcuni ingegneri. Quelli di Pisa erano specialmente esercitati nell'arte di dirigere le mine, ed i Genovesi in quella di costruire macchine militari16. Fabbricarono gli ultimi a non molta distanza dalle mura quattro torri con parapetto coperto di pelli di bue, onde preservarle dal fuoco. Posero fra le torri due gatti, specie di montoni, in ciò solo diversi da quelli usati dagli Antichi che erano armati d'un uncino destinato a cavar le pietre smosse dal loro urto. Formarono inoltre quattro baliste per lanciare massi di pietra al di là delle mura: e quando tali macchine trovaronsi terminate, furono dall'armata a suono di trombe strascinate presso le mura in mezzo alle grida di gioja.
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