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      I consoli ubbidirono: nè la guarnigione solamente, ma ancora tutti gli abitanti uscirono dal castello conducendo di notte già innoltrata, e sotto una pioggia freddissima e continuata, le loro mogli e figli; lo che rendeva quest'esecuzione militare più odiosa e crudele. Presero la strada di Milano da cui erano lontani dodici miglia, lasciando, com'era loro stato ordinato, tutti gli effetti nel castello. V'entrò in sul far del giorno l'armata tedesca, e, dopo averlo saccheggiato, lo spianò da cima in fondo63.
      Quando i fuorusciti di Rosate giunsero a Milano, volendo pure dar colpa della loro sventura a qualcuno esposto alla loro vendetta, ripetevano le lagnanze de' Tedeschi, rimproverando ai consoli milanesi d'aver dato motivo della collera di Federico e della sua armata. Que' magistrati avevano torto in faccia a quegli abitanti dell'aver condotta l'armata presso al loro castello. Il popolo milanese era incapace di resistere all'affascinamento d'un grande spettacolo; le lagrime delle donne di Rosate, la miseria de' fanciulli che portavano in collo lordi di fango ed assiderati da una pioggia gelata, lo scoraggiamento dei capi di casa che avevano tutto perduto, facevano sui Milanesi un'impressione assai più profonda che non la ferma e misurata eloquenza dei consoli, Oberto dall'Orto, e di Gherardo Negro, che rendevano ragione della propria condotta. La plebe tumultuante si portò contro la casa dell'ultimo, e la demolì interamente. Pure questo magistrato dimenticò l'ingratitudine del popolo, e non lasciò di servire con zelo e fedeltà la patria64.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo II
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1819 pagine 316

   





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