Intanto la sete rendevasi ai Tortonesi insopportabile, i quali avendo esauriti tutti i soccorsi della pazienza e del coraggio, dopo sessantadue giorni di trincea aperta, non potendo ottenere migliori condizioni, si arresero a patto di sortire dalla città portando sulle spalle gli effetti di cui potrebbero caricarsi una sola volta, lasciando tutto il restante all'armata vittoriosa. Così sortirono in fatto da Tortona, ma dimagrati e sfiniti in modo, che più gloriosa rendevasi la lunga resistenza. Presero la strada di Milano, e mentre si scostavano dalla loro patria, vedevano innalzarsi le fiamme che la distruggevano74.
Qual che si fosse l'infelice fine dell'assedio di Tortona, i repubblicani lombardi prendevano buon augurio dal vedere che una sola, ed una delle meno popolose e potenti loro città, avesse fermata due mesi la marcia della più formidabile armata che il re tedesco potesse condurre contro di loro, e gli fosse costata più sangue e sudore che ad Ottone la conquista di tutta l'Italia. Un grandissimo esempio di costanza e di coraggio era stato dato per la libertà; i Tortonesi ne erano i martiri, e furono posti sotto la protezione delle repubbliche per la di cui causa avevano tanto sofferto. Furono ripartiti tra le famiglie milanesi con cui avevano formati legami di ospitalità, ed i consoli promisero di rialzare le mura di Tortona tosto che partirebbe l'armata tedesca.
Mentre questi valorosi fuorusciti colle loro mogli e figli, portando i miseri avanzi di loro fortune, entravano in Milano tra le acclamazioni del popolo ammiratore della loro virtù, Federico entrava trionfalmente in Pavia, ove facevasi coronare nella chiesa di S. Michele presso all'antico palazzo dei re lombardi75.
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