S'avvide allora il papa che Federico non era in modo lontano, che non fosse più a temersi. Aveva già cercato di farsi favorevole il clero di Germania, ma non aveva potuto staccarlo dagl'interessi dell'Impero: (1158) scrisse quindi all'imperatore del 1158, e frammischiando accortamente le più lusinghiere espressioni ai sentimenti di tenerezza e di paterna affezione, spiegava la frase che aveva più adombrato quel sovrano: «beneficium, scriveva, è un favore, e non un beneficio: conferire la corona non altro significa che l'averla posta sul vostro capo: altro senso non venne da noi attaccato a questo vocabolo, ed in tale occasione voi medesimo non potete negare che non abbiamo operato verso di voi con amore.» Tale lettera calmò l'imperatore, che riscontrandolo, assicurò il papa della sua amicizia e del desiderio che nutriva di conservarsi amico della Chiesa101.
Intanto, all'avvicinarsi della Pasqua, la città di Ulma si andava riempiendo di soldati, di modo che molti principi tedeschi, vedendo che l'armata sarebbe troppo numerosa per tenere la stessa strada, s'incamminarono di consenso dell'imperatore per diversi passaggi delle Alpi, sicchè dal Friuli fino al grande s. Bernardo uscivano in Lombardia da tutte le valli battaglioni tedeschi. Il duca d'Austria, quello di Carinzia e gli Ungaresi tennero le strade di Canale, del Friuli e della marca veronese; il duca di Zevingen valicò il s. Bernardo coi Lorenesi ed i Borgognoni; gli abitanti della Franconia e della Svevia passarono per Chiavenna e per il lago di Como; finalmente lo stesso Federico, accompagnato dal re di Boemia, da Federico duca di Svevia e figliuolo di Corrado, dal fratello di questo duca Corrado, conte palatino del Reno, e dal fiore della nobiltà tedesca, discese in Italia per la valle dell'Adige102.
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