Il rimanente dell'armata avanzavasi all'assalto tra l'una torre e l'altra, disposta a valersi della zappa e della scala, secondo che tornerebbe più in acconcio, tosto che vedessero abbassati i ponti levatoj. Dal canto loro gli assediati si ordinavano sulle mura, e coperti di mantelletti sforzavansi coi loro gatti o montoni adunchi d'impadronirsi, o di rovesciare i ponti che dalle torri facevansi cadere sulle loro mura. Respinti più volte da queste, altre tante le ricuperarono, ributtando sempre valorosamente gli assalitori, tra i quali facevasi distinguere Attone conte palatino di Baviera, il primo a lanciarsi sulle mura, l'ultimo ad abbandonarle. Dopo aver perduto assai gente esposta alle freccie degli arcieri, senza che potessero nè difendersi nè vendicarsi, in sul cadere del giorno furono costretti d'abbandonare le mura esteriori e di ripiegarsi entro i secondi ripari, disposti in tutto di voler sostenere con egual vigore un secondo assedio139.
Ma quando, durante la notte, riconobbero le poche forze che loro rimanevano, e numerarono i valorosi soldati che avevano perduti, quando videro le fosse colmate, ed osservarono la debolezza del muro interno, abbandonaronsi alla disperazione. All'indomani proposero al patriarca d'Aquilea ed al duca di Baviera di entrare in trattato per la resa colla loro mediazione. Il patriarca assicurò i consoli, che il solo mezzo di calmare la collera dell'imperatore era quello di darsi a discrezione.
Uno di loro, comprimendo il suo dolore, rispose non aver essi prese le armi contro Federico, ma bensì contro i Cremonesi, risoluti di non servire che a Dio ed all'imperatore: che credevano d'aver fatto conoscere che preferivano la morte ad una ingiusta schiavitù: che la loro alleanza coi Milanesi non aveva avuto altro oggetto, che quello di liberarsi dalla servitù: che l'avevano mantenuta fin che Dio lo permise, ma che ora erano sforzati di risguardare come un segno della celeste collera la disperata situazione cui trovavansi ridotti.
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