I consoli spedirono all'imperatore, che in allora soggiornava a Lodi, deputati ad offrire umili condizioni di pace; cioè di demolire, in attestato di sommissione, le mura in sei luoghi, e di ricevere in avvenire i podestà che vorrà mandarli. Ma Federico rispose ai loro deputati, che non isperassero grazia finchè non gli s'arrendessero senza condizione, abbandonandosi affatto alla sua clemenza. Allorchè si ebbe in Milano tale risposta, i magistrati protestarono invano di non voler rinunciare alla libertà che perdendo la vita, perciocchè il popolo ammutinato trionfò della loro resistenza e gli obbligò a sottomettersi150.
Cedendo al volere del popolo gli otto consoli con altri otto cavalieri si presentarono il giorno primo di marzo al palazzo dell'imperatore in Lodi, e tenendo la spada nuda in mano si arresero a discrezione in nome della città. Giurarono nello stesso tempo d'essere disposti ad ubbidire a tutti gli ordini imperiali; giuramento che verrebbe rinnovato da tutti i Milanesi. Tre giorni dopo, richiese l'imperatore che trecento cavalieri venissero a deporre ai suoi piedi le loro spade e trentasei stendardi del comune. In tal occasione Guintellino, capo degl'ingegneri, gli portò pure le chiavi della città. Allora l'imperatore, senza per altro far conoscere le sue intenzioni, domandò che venissero al suo quartiere tutti quelli che furono consoli, negli ultimi tre anni, e gli si recassero tutti gli stendardi della città; umiliante cerimonia cui i Milanesi si sottomisero il susseguente martedì.
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