Dietro loro mandò pure sei gentiluomini tedeschi e sei lombardi, tra i quali lo storico Morena, per ricevere il giuramento di fedeltà da coloro ch'erano rimasti in Milano, e rivocò la sentenza che aveva posti i Milanesi al bando dell'impero.
Erano omai dieci giorni passati dopo la resa della città, ed il vincitore in cambio di occuparla colle sue truppe conduceva l'armata da Lodi a Pavia, ove rimaneva otto giorni, senza manifestare le sue intenzioni. Finalmente il 16 di marzo ordinò ai consoli di Milano di far sortire tutti gli abitanti dal circondario delle mura: misteriosi ordini che i magistrati eseguirono tremando. Molti cittadini rifugiaronsi in Pavia, in Lodi, in Bergamo, in Como e nelle altre città lombarde; ma la maggior parte della popolazione aspettò l'imperatore fuori delle mura, avendo tutti, uomini, donne e fanciulli abbandonato le proprie case, che non sapevano se avrebbero più rivedute, e Milano rimase affatto deserto.
L'imperatore comparve alla testa delle sue truppe il giorno 25 di marzo, e pubblicò finalmente la sentenza da lungo tempo sospesa: che Milano doveva atterrarsi fino alle fondamenta, ed il nome dei Milanesi cancellarsi dalla nota delle nazioni lombarde. All'istante i quartieri della città furono consegnati ai più caldi nemici con ordine di distruggerli; porta Orientale ai Lodigiani, la Romana ai Cremonesi, la Ticinese ai Pavesi, la Vercellina ai Novaresi, la Comacina ai Comaschi, e porta Nuova ai vassalli del Seprio e della Martesana. L'armata imperiale si occupò con tanto ardore della distruzione di Milano, che dopo sei giorni di travaglio non rimaneva in piedi la cinquantesima parte delle case.
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