I fuorusciti milanesi, passando d'una in altra città, raccontavano agli uomini, com'essi una volta liberi, la deplorabile ruina della loro patria, la caduta di quelle mura difese con tanta bravura, l'incendio e la profanazione delle chiese, la rapina o la dispersione delle reliquie e delle sacre immagini, e le vessazioni d'ogni maniera che, dopo distrutta la loro città, facevansi soffrire agli sventurati loro concittadini. Non saziavansi di andar replicando come il vescovo di Liegi e Pietro de' Cunin, che successivamente li governarono, non contenti di averli divisi in quattro borgate, che per loro ordine avean dovuto fabbricare due miglia lontano dalla città, pigliavansi le loro messi, s'appropriavano i poderi, accrescevano i tributi, e gli sforzavano a trasportare essi medesimi i materiali della distrutta città per innalzare castelli e palagi all'imperatore153. Generose lagrime cadevano loro dagli occhi quando descrivevano le battaglie che sostennero, e que' gloriosi giorni ne' quali, in mezzo ai pericoli e mancanti d'ogni cosa, pure credevansi ancora felici finchè vedevansi armati per difesa della patria.
Le grandi sventure sogliono soffocare le antiche nimistà: Pavia, Cremona, Lodi, Bergamo, Como, avevano aperte le loro porte ai rifugiati. Anche in mezzo alle guerre nazionali i legami dell'ospitalità riunivano le famiglie delle vicine città, ed accoglievansi cordialmente a tavola coloro contro i quali poc'anzi per onore della propria città avevano combattuto. I racconti de' Milanesi s'imprimevano più profondamente nell'animo degli uditori dopo che i partigiani dell'Impero incominciarono ad esperimentare ancor essi i funesti effetti della loro vittoria.
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