I confederati erano accampati in luogo di poter impedirgli il passaggio, e la loro armata assai più numerosa dell'imperiale ne assicurava la disfatta ove fosse stata costretta di venire a battaglia. Ma Federico si credette guarentito dal rispetto che imprimeva ancora la dignità imperiale sull'animo di nemici poc'anzi suoi sudditi, persuadendosi che non lo avrebbero attaccato i primi, e l'avvenimento giustificò i suoi calcoli.
Quando i Lombardi videro le truppe imperiali avvicinarsi a bandiere spiegate, si disposero a sostenere l'urto de' Tedeschi, ma mentre credevano d'essere attaccati, videro i Tedeschi far alto, ed occuparsi come fossero amici a piantare il loro campo. I Lombardi esitarono un istante, e dubitando di farsi colpevoli di lesa maestà, se attaccavano il loro imperatore che s'avanzava confidentemente in mezzo a loro, lasciarono passare la giornata senza decidersi.
La susseguente mattina alcuni nobili, che non erano sospetti ad alcuna parte, si fecero a trattar di pace. L'imperatore rispose alle proposte loro, «che, salvi i diritti dell'Impero, era disposto di porre in arbitrio di giudici scelti dalle parti le contese che aveva co' suoi sudditi.» L'armata lombarda rispose dal canto suo, «che, salva la devozione dovuta alla chiesa romana, e la libertà per cui le città confederate avevano prese le armi, era disposta a sottomettersi al giudizio degli arbitri.» Furono in conseguenza nominati sei commissarj, ai quali le parti affidarono la decisione della loro contesa. I più principali dei Lombardi furono in seguito presentati all'imperatore, che li ricevette in un modo assai lusinghiero.
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