Il podestà era, più che giudice, il generale del popolo, in di cui nome faceva la guerra ai nemici dell'ordine pubblico; ed anco l'amministrazione della giustizia era in sua mano affatto militare. Per ultimo i consoli erano depositari di tutti gli altri diritti governativi. In Milano erano dodici, e la loro adunanza formava il consiglio di confidenza260, cui erano attribuite tutte le relazioni esteriori dello stato, le nomine degl'impiegati, l'amministrazione delle finanze, tutte in somma le più importanti attribuzioni della sovranità. Pretendevano i nobili che il consiglio avesse il diritto di nominare i consoli dell'anno seguente; e questa prerogativa fu la prima a risvegliare la gelosia de' plebei, onde si alterò la buona armonia dei due ordini. Il popolo emanò una legge che affidava il diritto di eleggere i consoli a cento elettori scelti dal consiglio generale tra gli artigiani della città, obbligando però questi elettori a prendere tutti i consoli nel corpo della nobiltà. Non era dunque ancora il possedimento delle magistrature che si contrastasse ai gentiluomini; si voleva solamente, che fossero gl'immediati rappresentanti della nazione. Ma più volte a dispetto dell'incontrastabile diritto dei cittadini i consoli regnanti s'arrogarono l'elezione dei loro successori.
Forse in un modo più preciso e conveniente aveva la repubblica di Bologna divisi i suoi poteri, comechè non sia facile il precisar l'epoca della costituzione di cui ci danno notizia i suoi storici261. L'autorità sovrana era in Bologna divisa fra tre consigli, i consoli ed il podestà. La città dividevasi in quattro tribù e quaranta elettori, scelti a sorte dieci in ogni tribù, eleggevano ogni anno, rispettivamente nella propria, i cittadini degni di formare i tre consigli.
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