Tutti i cittadini giunti all'età di diciott'anni erano ammessi al consiglio generale, esclusi però i bassi artigiani e quelli ch'esercitavano una vile professione; il consiglio speciale era composto di seicento cittadini; e quello di confidenza, nel quale avevano luogo di pieno diritto tutti i giureconsulti di Bologna, di un numero assai minore. Tutte le decisioni di qualche importanza dovevano ricevere la sanzione da questi consigli, ma ne era riservata l'iniziativa ai soli consoli ed al podestà, o per lo meno un cittadino non poteva senza il loro assenso proporre un progetto e prender parte alla discussione. Il più delle volte le proposizioni fatte dai consoli si discutevano soltanto da quattro oratori che avevano l'incarico di parlare a nome del popolo; e gli altri consiglieri non avevano la parola e davano il loro voto con palle bianche e nere. A questa influenza dei magistrati sulle deliberazioni, la nobiltà, in onta d'una costituzione quasi democratica, andò lungo tempo debitrice della conservazione del suo potere. Il Ghirardacci, lo storico migliore di Bologna, non ritrovò sicure notizie intorno al modo con cui eleggevansi i consoli: il podestà nominavasi ogni anno in settembre in tal maniera. Fra i membri del consiglio generale e speciale estraevansi a sorte quaranta cittadini, che venivano rinchiusi assieme, e sotto pena di perdere il diritto d'elezione dovevano entro ventiquattr'ore aver fatta la nomina colla maggiorità di ventisette voti. Spesse volte i consigli indicavano agli elettori la città in cui dovevano prendere il podestà. Questo magistrato non poteva scegliersi tra i parenti di verun elettore fino al terzo grado, non poteva possedere beni stabili nel territorio della repubblica, doveva esser nobile, d'età non minore di trentasei anni, ed avere buon nome.
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