La presa di Costantinopoli chiamò ben tosto i crociati a realizzare così vasto progetto. Incominciarono da quello del saccheggio, e la città fu senza riserva abbandonata alla brutalità de' soldati vincitori. Le lagnanze di Niceta, e l'esultanza di Villehardovin ci danno tutta l'estensione di questo disastro. La profanazione e l'insulto accompagnarono il saccheggio; e mentre i Latini si vantavano che dopo il cominciamento de' secoli non fu mai tanto guadagnato in una città, la capitale dell'Oriente fu ridotta in tale stato di avvilimento e di miseria da cui non si potè mai più rilevare. I templi non furono più risparmiati delle case private; i calici, i crocifissi, le teche delle reliquie furono levate e divise da mani barbare, e s'introdussero nelle chiese i cavalli ed i muli per caricarne le spoglie. Le stesse passioni religiose incitavano alla profanazione delle chiese scismatiche476. Una prostituta ebbe l'impudenza di porsi a sedere sulla sede del patriarca, e danzava e cantava in mezzo ai soldati ubbriachi per insultare il culto de' Greci. Questi stessi soldati scorrevano in seguito la città conquistata, vestiti d'abiti pomposi, che avevano tolti a uomini o a donne della corte, e portando sulle loro teste penne d'airone, le sole armi dei vinti Greci.
Mentre i Latini esalavano con pubblici insulti il loro sdegno, che i soldati svergognavano le matrone, le fanciulle e perfino le vergini consacrate agli altari; la loro condotta nell'interno delle case non era meno odiosa. «Lo stesso giorno, dice Niceta, in cui fu presa la città, i soldati errando per le strade incominciarono ad introdursi nelle case, ove, dopo essersi impadroniti di tutto quanto loro veniva alle mani, si facevano ad interpellare i padroni sul conto delle ricchezze che potessero avere nascoste: agli uni strappavano il segreto a forza di percosse, ad altri ingannandoli colle promesse, a tutti spaventandoli colle minacce.
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