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      Fin qui la condotta di frate Giovanni andava esente da ogni sospetto, vista ambiziosa o interessata; sembrando che il suo zelo non avesse altro motivo che la gloria di Dio, e l'amore degli uomini; ma l'assemblea di Paquara pose fine alla gloriosa sua carriera. L'entusiasmo551 ch'egli aveva eccitato, la pace universale che aveva conchiusa, gli fecero concepire troppo alta opinione di se medesimo, onde si credette fatto non solo per pacificare, ma ancora per governare gli uomini. Tornato a Vicenza, subito dopo l'assemblea, entrò nel consiglio del comune, e chiese che gli fosse affidato un illimitato potere nella repubblica, coi titoli di duca e di conte552. Erasi vociferato che questo santo uomo aveva colle sue preghiere tornati in vita molti morti, e risanati infiniti infermi; ed il popolo, ben lontano dal nodrire sospetti intorno alle intenzioni del santo, gli confidò tutta la sua autorità, sperando di vedere con perfetta eguaglianza divise tra i cittadini le cariche e gli onori. Di fatti fra Giovanni prese a riformare gli statuti della città, ma il suo lavoro non soddisfece all'universale. Da Vicenza passò a Verona, ove ugualmente chiese ed ottenne la suprema signoria, in forza della quale fece tornare in città il conte di san Bonifacio, allora esiliato; chiese ostaggi alle fazioni nemiche, mise guarnigioni nei castelli di san Bonifacio, d'Ilasio e d'Astiglia, fece abbruciare sulla pubblica piazza, dopo averli egli stesso sentenziati, sessanta eretici che appartenevano alle principali famiglie di Verona, e per ultimo pubblicò molte leggi e regolamenti553.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo II
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1819 pagine 316

   





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