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      Il papa, dopo aver rimproverato a Federico la sua empietà ed incredulità, entrando nei particolari, lo accusava d'avere in Roma suscitate ribellioni contro la santa sede, d'avere oppresso il clero e perseguitati gli ordini mendicanti ne' suoi dominj, d'avere spogliate le mense vescovili delle loro entrate, e finalmente d'avere occupato terre e stati, dipendenti unicamente dalla Chiesa28.
      Andava unita alla scomunica una bolla che scioglieva i sudditi dal giuramento di fedeltà, ed assoggettava all'interdetto i luoghi abitati dall'imperatore. Non ignorava Federico l'influenza di tali sentenze sul cuore dei Guelfi, onde incominciò subito ad avere sospetti i due principali signori di questo partito, il marchese d'Este ed il conte di san Bonifacio, ch'egli aveva chiamati alla sua corte. Per assicurarsi di loro, chiese al primo di dargli in mano come ostaggio suo figlio Rinaldo colla consorte Adelaide; inchiesta che gli riuscì più pregiudicievole di tutto quanto poteva temere dalla cattiva disposizione de' Guelfi; perciocchè Alberico da Romano, forse di già ingelosito dell'ingrandimento del fratello Ezelino, si chiamò oltremodo offeso, vedendo condotta in Puglia come ostaggio sua figlia che lo stesso imperatore aveva maritata con Rinaldo d'Este; ed unitosi al signore da Camino, di cui fino a tal epoca era stato nemico, si ritirò con lui a Treviso, e rivoltò la città contro Federico. In appresso mentre l'imperatore marciava coll'armata alla volta di Lombardia, avendo al suo seguito il marchese d'Este ed il conte di san Bonifacio, un amico loro che godeva la piena confidenza dell'imperatore, passandosi la mano a traverso la gola, fece loro comprendere che si volevano decapitare29. Trovavansi in quel punto presso ai bastioni di san Bonifacio: spronarono i cavalli, e precipitandosi in quel castello, ne fecero chiudere le porte; e per quante istanze venissero lor fatte da Pietro delle Vigne a nome di Federico, non vollero più sortire.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo III
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 326

   





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