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      La potenza di alcuni gentiluomini che eransi usurpati la tirannide nella loro patria o nelle vicine città, moveva l'ambizione di tutti gli altri. Treviso era soggetto ad Alberico da Romano; Padova, Vicenza, Verona a suo fratello Ezelino; Ferrara al marchese d'Este; Mantova al conte di san Bonifacio, e Ravenna aveva lungo tempo ubbidito a Paolo Traversari. Tale era il furore delle fazioni, che all'esaltamento di una famiglia doleva assai più la caduta del partito guelfo o ghibellino, che la perdita della libertà. I nobili potenti speravano che le repubbliche che tuttavia duravano, sarebbero un giorno o l'altro loro preda; ed i nobili di second'ordine avevano la viltà di accontentarsi delle cariche che il favore de' nuovi principi lasciava loro sperare. In quella città per altro ove i nobili erano più eguali, quest'ordine procurava non già di darsi un padrone, ma di ristringere l'oligarchia e di allontanare affatto il popolo dal governo. La discordia tra i patrizj ed i plebei si manifestò in Milano l'anno 1240. Pretendevano i primi di far rivivere l'antica legge de' Lombardi, che limitava il compensamento di un omicidio ad una piccola somma di danaro, cioè a sette lire e dodici soldi di terzuoli46. Il popolo risguardava questa legge come fatta contro di lui, e come quella che metteva a troppo vil prezzo il capo di un plebeo. Lagnavasi inoltre, perchè ne' tempi in cui la repubblica andava soggetta a spese considerabili, i nobili si liberavano da qualunque imposta ritirandosi ne' loro castelli; e perchè, malgrado le fresche leggi che dividevano con perfetta eguaglianza tra i due ordini le magistrature dello stato, e le dignità della chiesa, i nobili soli ne usurpassero tutte le cariche.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo III
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 326

   





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