Da questo fatto ebbe principio, o si rese più celebre il proverbio italiano: Quello che vuol morire è padrone della vita del tiranno95.
La maggior parte de' giustiziati, coperti d'una veste nera, perdevano la testa sulla pubblica piazza. I loro beni erano confiscati, atterrate le loro case, dichiarati sospetti ed imprigionati i loro parenti ed amici d'ambo i sessi. Ma non tutte le vittime perivano di morte così dolce: accusate indifferentemente d'aver cospirato contro il tiranno, non si allegavano altre testimonianze del loro delitto, che le confessioni strappate loro di bocca coi tormenti: e molti gentiluomini che rifiutavansi di confessare i supposti delitti, si fecero perire in mezzo agli orrori d'una tortura spinta al di là di quanto può soffrire l'umana natura96.
Tante erano le persone sospette condensate nelle carceri da Ezelino, ch'egli ordinò di far nuove carceri presso alla chiesa di san Tomaso di Padova. Uno di que' vili cortigiani che i tiranni sanno trovare in ogni paese e valersene nell'esecuzione de' loro disegni, chiese, come una grazia, la direzione della fabbrica delle prigioni, affinchè riuscissero veramente infernali. «Ma si rallegrino, soggiugne Rolandino, le anime di quegli sventurati che perirono nel castello (così chiamaronsi quelle prigioni), poichè colui che tante volte era volontariamente entrato in quelle segrete, per assicurarsi che un solo raggio di luce non vi penetrerebbe, colui che aveva posto ogni suo studio nel renderle tenebrose, insalubri e somiglianti al Tartaro, vi fu egli stesso chiuso per ordine di Ezelino, e perì miseramente nell'inferno da lui formato, in preda alla fame, alla sete, agl'insetti immondi, in vano bramando il ristoro di quell'aere che con tanta cura aveva cercato di escludere da quel luogo»97.
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