Furono fatti prigionieri quattro mila Bresciani, il podestà di Mantova con molti suoi compatriotti e lo stesso legato pontificio: cosicchè di tutta l'armata guelfa non si salvò che Biachino da Camino colla sua gente, facendosi strada a traverso l'armata nemica174.175
Quando a Brescia si ebbe avviso della rotta dell'armata, i Guelfi rimasti in città tentarono di placare i loro concittadini ghibellini, rendendo la libertà a coloro che trovavansi in prigione, e ricevendoli di nuovo in consiglio e nelle cariche: ma una forzata condiscendenza non fece mai dimenticare i volontarj oltraggi; onde tosto che i capi ghibellini si videro liberi, aprirono le porte ad Ezelino. Mentre l'armata del tiranno entrava per una porta, uscivano dall'opposta il vescovo, i magistrati e moltissimi Guelfi, seco conducendo le loro famiglie e tutto quanto potevano portare di effetti preziosi, compiagnendo l'infelice loro patria cui preparavansi tante calamità; «imperciocchè, dice Rolandino, le inondazioni, la peste, gl'incendj, o qualsiasi sciagura non opprime di tanta miseria colui che la prova, quanto la perdita della libertà sotto un padrone crudele176.»
Brescia era stata sottomessa dalle forze riunite d'Ezelino, di Buoso di Dovara e del marchese Pelavicino. In forza delle fatte convenzioni tutte le conquiste dovevano possedersi in comune dai tre capi: ma Ezelino si credette reso abbastanza potente dalla sua vittoria per potere, senza correre verun rischio, staccarsi dai suoi alleati, o trattarli piuttosto da superiore che da eguale.
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