Ciò accadde del 1259 in cui determinarono d'eleggere un protettore della plebe, cui diedero i titoli di capo, d'anziano e di signore del popolo. L'elezione per altro non fu affatto tranquilla. La Credenza unita a tutti gli artigiani ed alle più basse classi della plebe destinava questa dignità a Martino della Torre, il prediletto capo della fazione popolare; ma l'altra società, la Motta, composta delle più ragguardevoli famiglie popolane, di quelle famiglie che per le loro ricchezze e per le cariche occupate nella repubblica avevano acquistato qualche considerazione, temendo forse la soverchia potenza di Martino, nominò un altro capo. In fatti avendo la Motta perduto il suo capo in un ammutinamento, si unì quasi tutta al partito de' nobili ed a Guglielmo Soresina, successore di Paolo e capo della nobiltà.
Seguendo i consigli di un legato pontificio che bramava di ristabilire la pace in Milano, il podestà bandì i due capi di parte; ma Martino, sicuro del favore e degli ajuti delle ultime classi del popolo, rientrò dopo due giorni in città, e, fattosi riconoscere per anziano e signore del popolo, ottenne che si ratificasse la sentenza di bando contro il suo concorrente Guglielmo di Soresina, e contro i suoi partigiani.
In tale stato di cose i nobili milanesi si volsero ad Ezelino, sperando di rientrare col suo ajuto in patria, ed essendosi a lui uniti presso Orci Novi, ch'egli aveva stretta d'assedio, lo persuasero ad avanzarsi oltre l'Adda, ove questo tiranno fu rotto e fatto prigioniero, in parte coll'assistenza di Martino della Torre.
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