Intanto presentavansi in folla a Carlo i baroni del regno e i deputati delle città per giurargli ubbidienza e fedeltà. Quando si pose in cammino per andare a Napoli, fu ricevuto in tutte le città quale signore e legittimo re. Entrò trionfante in Napoli colla regina Beatrice, sua consorte, dispiegandovi una pompa all'Italia ancora ignota. Adunò un parlamento de' baroni del regno, che cercò di affezionarsi con affettata affabilità. A tutti prometteva grazie, o per lo meno il perdono della passata nimistà; ma al loro ritorno nelle proprie province faceva tenere loro dietro quella folla di plebaglia francese che formava l'infanteria della sua armata, la quale non aveva prese le armi, che per saccheggiare. Carlo distribuiva ai cavalieri le baronie che aveva confiscate a suo profitto, e divideva tra gli uomini d'un ordine inferiore tutti gl'impieghi lucrosi. In pochi giorni si videro partire dalla sua corte, per tutte le parti de' nuovi stati, numerose bande di giustizieri, d'ammiragli, di comiti, d'ispettori de' porti, di gabellieri, d'ispettori de' magazzini, di maestri del siclo, di maestri giurati, di balivi, di giudici e di notai. A tutti gl'impieghi dell'antica amministrazione aveva aggiunti tutti gl'impieghi corrispondenti ch'egli conosceva in Francia, di modo che il numero de' pubblici funzionarj era più che duplicato. Fieri delle nuove loro dignità, ignorando come il loro padrone la lingua del paese, e sprezzando i costumi nazionali, questi plebei, diventati potenti, scorrevano le province e le spogliavano.
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